Sembrache nel nuovo ordine planetario che si va delineando due cose, apparentemente senza rapporto tra loro, siano destinate a essere integralmente rimosse: il volto e la morte. Cercheremo di indagare se esse non siano invece in qualche modo connesse e quale sia il senso della loro rimozione. Che la visione del proprio volto e del volto degli altri per luomo sia unesperienza decisiva era già noto agli antichi: "Ciò che si chiama "volto" - scrive Cicerone - non può esistere in nessun animale se non nelluomo" e i greci definivano lo schiavo, che non è padrone di sé stesso, a proposito, letteralmente "senza volto". Certamente tutti gli esseri viventi si mostrano e comunicano gli uni agli altri, ma solo luomo fa del volto il luogo del suo riconoscimento e della sua verità, luomo è lanimale che riconosce il suo volto allo specchio e si specchia e riconosce nel volto dellaltro. Il volto è, in questo senso, tanto la similitas, la somiglianza che la multas, lessere insieme degli uomini. Un uomo senza volto è necessariamente solo. Per questo il volto è il luogo della politica. Se gli uomini avessero solo da comunicarsi sempre e soltanto le informazioni, sempre e solo quella cosa, non vi sarebbe mai propriamente politica, ma unicamente scambio di messaggi. Ma poiché gli uomini hanno innanzitutto da comunicarsi la loro apertura, il loro riconoscersi lun laltro in un volto, il volto è la condizione stessa della politica, ciò in cui si fonda tutto ciò che gli uomini si dicono e scambiano. Il volto è in questo senso la vera città degli uomini, lelemento politico per eccellenza. È guardandosi in faccia che gli uomini si riconoscono e si appassionano gli uni agli altri, percepiscono somiglianza e diversità, distanza e prossimità. Se non vi è una politica animale, ciò è perché gli animali, che sono già sempre nellaperto, non fanno della loro esposizione un problema, dimorano semplicemente in essa senza curarsene. Per questo essi non si interessano agli specchi, allimmagine in quanto immagine. Luomo, invece, vuole riconoscersi e essere riconosciuto, vuole appropriarsi della propria immagine, cerca in essa la propria verità. In questo modo egli trasforma lambiente animale in un mondo, nel campo di una incessante dialettica politica. Un paese che decide di rinunciare al proprio volto, di coprire con maschere in ogni luogo i volti dei propri cittadini è, allora, un paese che ha cancellato da sé ogni dimensione politica. In questo spazio vuoto, sottoposto in ogni istante a un controllo senza limiti, si muovono ora individui isolati gli uni dagli altri, che hanno perduto il fondamento immediato e sensibile della loro comunità e possono solo scambiarsi messaggi diretti a un nome senza più volto. E poiché luomo è un animale politico, la sparizione della politica significa anche la rimozione della vita: un bambino che nasce non vede più il volto della propria madre rischia di non poter più concepire sentimenti umani. Non meno importante che il rapporto con il volto è per gli uomini il rapporto con i morti. Luomo, lanimale che si riconosce nel proprio volto, è anche lunico animale che celebra il culto dei morti. Non sorprende, allora, che anche i morti abbiano un volto e che la cancellazione del volto vada di pari passo con la rimozione della morte. A Roma, il morto partecipa al mondo dei vivi attraverso la sua immagine, limmagine plasmata e dipinta sulle cera che ogni famiglia conservava nel triclinio della propria casa. Luomo libero è, cioè, definito tanto dalla sua partecipazione alla vita politica della città che dalle sue immagini, il diritto inalienabile di custodire il volto dei suoi antenati e di esibirlo pubblicamente nelle feste della comunità. "Dopo la sepoltura e i riti funebri - scrive Polibio - veniva posta nel punto più visibile della casa limmagine del morto in un reliquiario di legno e questa immagine è un volto di cera fatto a esatta somiglianza sia per la forma che per il colore". Queste immagini non erano soltanto oggetti di una memoria privata, ma erano il segno tangibile dellalleanza e della solidarietà tra vivi e morti, fra passato e presente che era parte integrante della vita della città. Per questo svolgevano una parte così importante nella vita pubblica, tanto che si è potuto affermare che il diritto alle immagini dei morti è il laboratorio in cui si fonda il diritto dei vivi. Ciò è tanto vero che chi si era macchiato di un grave crimine pubblico perdeva il diritto allimmagine. La leggenda vuole che quando Romolo fondò Roma, scavasse una fossa - detta mundus, "mondo" - in cui egli stesso e ciascuno dei suoi compagni gettavano una manciata di terra da cui provenivano. Questa fossa veniva aperta tre volte lanno e si diceva che in quei giorni i morti entravano nella città e prendevano parte allesistenza dei vivi. Il mondo non è che la soglia attraverso cui vivi e morti, passato e presente comunicano. Si comprende allora perché un mondo senza volti non possa essere che un mondo senza morti. Se i vivi perdono il loro volto, i morti diventano solo numeri, che, in quanto erano stati ridotti alla loro pura vita biologica, devono morire senza funerali. E se il volto è il luogo in cui, prima di ogni discorso, comunichiamo con i nostri simili, allora anche i vivi, privati del loro rapporto con il volto, sono, per quanto si sforzino di comunicare con dispositivi digitali, irreparabilmente soli. Il progetto planetario che i governi cercano di imporre è, dunque, radicalmente impolitico. Esso si propone anzitutto di eliminare dalla esistenza umana ogni elemento genuinamente politico, per sostituirlo con una governamentalità fondata soltanto su un controllo algoritmico. Cancellazione del volto, rimozione dei morti e distanziamento sociale sono i dispositivi essenziali di questa governamentalità, che, secondo le dichiarazioni concordate dei potenti, dovranno essere mantenuti anche quando lerrore sanitario sarà allentato. Ma una società senza volti, senza passato e senza contatto fisico è una società di spettri, come tale condannata a una più o meno rapida rovina.
Giorgio Agamben
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